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giovedì 3 giugno 2010

THE SUBLIME VERTIGO

Flavio Albanese
Tutors: Piero Corradin, Maria Pesavento, Giuseppe Santonocito,

dove: Dolomiti
cosa: Osservazione del paesaggio

Premessa
Il 26 giugno 2009 le Dolomiti sono state inscritte nella Lista Unesco del Patrimonio dell’Umanità “grazie alla loro bellezza, all’unicità paesaggistica e all’importanza scientifica a livello geologico e geomorfologico”.
Poiché compito dell’Unesco è promuovere la protezione e la conservazione del patrimonio culturale e naturale planetario, le Dolomiti si apprestano a diventare territorio tutelato, paesaggio sacro, spazio “museale” da preservare contro le future manomissioni.
Qual’è il valore di questa preservazione? Cosa percepiamo davvero quando guardiamo un paesaggio?
Alcuni dati sulle Dolomiti: 12 comprensori sciistici, 450 impianti di risalita, 1200 km di piste, un numero imprecisato di baite, strutture ricettive e di supporto.
Le vette dolomitiche sono tra i paesaggi più antropizzati e al tempo stesso più esclusivi al mondo: il loro riconoscimento a patrimonio dell’umanità ci spinge a riconsiderare radicalmente le categorie di ambiente, paesaggio, spazio comune, architettura.

Montagna
Cosa rappresenta la montagna nell’immaginario della nostra civiltà?
Un luogo non banale, una stazione dello spirito.
Collocata come un punto esclamativo sull’orizzonte, la montagna dischiude una terra di mezzo, uno spazio inquieto. Rispetto alla vita in piano, la verticalità della montagna è discontinuità, frattura, condizione-limite dell’abitare. L’idea di misurare il limite dell’illimitato ci invita a pensare la montagna come quella dimensione utopica e poetica in cui non valgono le leggi e i parametri della vita quotidiana. In cui per esplorarla, si deve partire da zero, accettando la difficoltà delle sue condizioni.
Per questo non si può dire della montagna che è bella, se non sminuendola. Il bello infonde quiete e armonia, il bello è calma e stasi. La montagna è sempre e solo dinamica vertigine, una vertigine sublime.

Paesaggio
Il paesaggio, diceva Schelling, non ha realtà che agli occhi di chi lo guarda. È natura antropizzata, natura che esibisce i segni e le tracce dell’azione umana. Il paesaggio così definito non rimane immutabile, ma si evolve insieme ai piani estetici e alle prospettive culturali.
Non c’è equivoco più ricorrente e più banale che quello di confondere il paesaggio con l’ambiente: mentre quest’ultimo appartiene all’universo fisico, il paesaggio si inscrive invece nelle produzioni culturali. E’ un prodotto collettivo, costruito da tutti e costruito da nessuno.
La montagna non si sottrae a questa logica: esplorata, conquistata, assediata, mappata, scansionata, non c’è vetta collocata sulla crosta terrestre esente da tracce di trasformazione antropica. Non c’è cima immune dallo sguardo contemporaneo.

Metodo
“Ogni volta che stabiliamo una relazione, ogni volta che colleghiamo due termini, ci dimentichiamo di ricominciare da zero, di tornare allo zero” (J. Cage).
L’osservazione del paesaggio è una strategia di lettura dello spazio, propedeutica ad ogni attività progettuale: si diventa buoni architetti, se si è dei buoni osservatori.
Comprendere il paesaggio contemporaneo significa allora imparare ad osservarlo, adottando il lessico di una lingua nuova, da costruire di volta in volta: una sorta di meta-o ne-archeologica che definisca criteri contemporanei di raccolta e classificazione dei reperti e degli scenari.
Significa soprattutto abbandonare lo spazio neutro dello schermo del computer, ma anche l’idea di “bel paesaggio” ereditato dalle pitture inglesi dell’Ottocento, disinnescando i nostri pregiudizi, le nostre menti di architetti, i nostri schemi interpretativi.
L’osservazione del paesaggio è una pratica complessa che si esercita sul tempo e sullo spazio rinunciando all’idea di raggiungere qualcosa, per limitarsi a diventare acuti spettatori che descrivono lo spettacolo di fronte a loro.
Osservare il paesaggio delle Dolomiti diventa un esercizio della percezione, in cui si chiederà ai partecipanti di mettere tra parentesi gli apparati dell’hardware (teorie, tecniche, insegnamenti) per affidarsi alla sensibilità del software (impressioni, percezioni, emozioni, descrizioni, educazioni dello sguardo).

Rinnegando la struttura per il flusso, la forza per la fragilità, la sicurezza per l’avventura, la matematica per l’estetica, inviteremo gli studenti a riattivare l’attitudine nomade di chi vive in tenda, di chi è ramingo, di chi sa leggere e interpretare le tracce dei luoghi: l’etnologo, l’esploratore, il guerrigliero, l’eretico, l’asceta, l’imboscato.

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